“Se conservassimo la memoria nello scrigno del cuore ,molto probabilmente il mondo sarebbe un posto migliore”.
“Ad Auschwitz salutai mio padre, non lo vidi mai più. Quando entrai nel campo avevo 13 anni e non facevo che piangere.
Non avevo più niente, niente. Neppure un fazzoletto per asciugare le lacrime. Non ci avevano lasciato niente. Solo il corpo, un corpo che piano piano diventava uno scheletro. La paura di morire per un passo falso o un’occhiata, ti fa diventare quello che i tuoi aguzzini vogliono che tu sia: che tu diventi disumana, egoista.
Chi è stato ad Auschwitz ha sentito per anni l’odore di carne bruciata: non te lo togli più di dosso. Era una realtà talmente spaventosa che quando mi resi conto che il campo era pieno di mucchi di cadaveri, di scheletri che camminavano come fantasmi, di persone in punizione per un nonnulla, di violenza gratuita che poteva scatenarsi per uno sguardo sbagliato o una parola sussurrata a un altro prigioniero… dentro di me, senza che ne fossi conscia, scattò qualcosa. Il desiderio di sopravvivenza, fortissimo. Un desiderio selvaggio, primitivo, che era prima di tutto del mio corpo, che voleva farcela, che non voleva arrendersi. Non fu un ragionamento consapevole, ma un istinto di cui mi sono resa conto solo dopo, quando tutto era finito. Però non sarebbe bastato.
Lì dentro non sarebbe bastato voler sopravvivere.”
Liliana Segre
Art. dal web